inter
Luca
con la parte
Massimo
6 febbraio
MM:
Durante la tua carriera hai lavorato con molti media diversi, senza mai perdere però
un'orientamento nella tua poetica. Hai realizzato dei momenti di condivisione di cibo,
sculture olfattive, opere visive e uso della musica nelle tue installazioni. C'è un
senso con il quale senti una maggiore affinità?
LV:
L'aspetto visivo per me è stato il più frequente ed inevitabilmente mi ha accompagnato
per tutto il periodo in cui ho lavorato ma anche in quello di formazione. Certe soluzioni
formali sono arrivate dopo anni di lavoro, quando ho iniziato a capire di voler raccontare
l'immagine di un'opera attraverso materiali che non avessero una forma fisica
riconoscibile visivamente.
Ho seguito un percorso cercando di essere coerente su due aspetti, uno riguardo i temi
che mi interessa sviluppare, approfondire e ricercare, parallelamente al lavoro sul
linguaggio artistico.
Io mi ritengo uno scultore quindi lavoro sul senso della scultura e di come può evolvere
nel nostro contemporaneo. Lavorando con oggetti che occupano degli spazi ho cercato
di farlo coinvolgendo tutti i sensi, seguendo anche riferimenti ad artisti del passato che
hanno lavorato per arrivare a ragionare sull'opera totale, quella che coinvolge realmente
tutto lo spazio vissuto da noi in quel momento.
MM:
Hai lavorato con l'odore in diverse occasioni, diversi modi e con diverse intenzioni.
LV:
L'uso dell'odore poteva avere un antecedente già nel '92, quando ho cominciato ad
usare il cibo nei miei lavori. Nella sala in cui si entrava si potevano degustare i cibi messi
a disposizione del pubblico e chiaramente veniva a crearsi un odore.
Credo di aver creato due tipologie di odori fino ad ora. Uno può essere ad esempio
quello realizzato per Stundaiù, mostra al Palazzo delle Esposizioni, dedicata alla mia città,
Genova.
Cercando di elaborare delle opere che potessero coinvolgere tutti i sensi, ho pensato
anche ad un odore, più precisamente ad un odore di mare. Avendo lasciato Genova a
vent' anni, ogni volta che tornavo a Principe, riconoscevo un odore di mare sporco,
oleoso, e quel'odore era diventato un momento preciso per me. Non vivo malinconie nei
confronti della città dove sono cresciuto, ma ci sono alcune cose che sono per me quelle
che preferisco, come un certo tipo di cibo, di clima, di persone.
L'odore del mare per Stundaiù era uno di quegli oggetti come il trallallero o come il corso
di cucina ligure: progetti in cui tutti i sensi venivano coinvolti. Quando una decina di anni
dopo, alla Biennale di Venezia ho deciso di portare Per l'eternità, ho invece ragionato
sull'idea del linguaggio stesso: l'odore diventa scultura se pur nella sua invisibilità.
L'idea era quella di una scultura invisibile ma enorme che non potesse essere contenuta
da reali confini. L'odore di Per l'Eternità a Venezia si dipanava fuori controllo, sia nelle
stanze vicine a quella dove era esposto, sia disperdendosi con il vento verso l'entrata,
accompagnandoti verso il padiglione Italia.
MM:
Hai definito Per l'Eternità un'opera che richiama un Minimalismo Aureo, che cosa
intendi?
LV:
Ho pensato al minimalismo come concetto e teoria linguistica degli anni '60. C'è un momento in
particolare, dove un gruppo di artisti neworkesi e poi anche britannici, seguivano una
modalità di lavoro sulla scultura e sull'oggetto artistico che poi ha avuto degli sviluppi.
Basti pensare ad un personaggio come Santiago Sierra, dove la scultura, da oggetto,
diventa segno invadente e invasivo di uno spazio.
Quando ho lavorato alla mostra del palazzo delle esposizioni, ho attuato il mio primo
tentativo di scultura totale. Sicuramente la scultura sociale di Beuys per me è sempre
stata un'esperienza estremamente importante, quando ero studente, negli anni '80, tolte
alcune figure italiane, Beuys è stato uno degli artisti internazionali che più mi affascinava,
con la l'idea di uscire dall'oggetto per raggiungere l'ambiente. In quegli anni ho scoperto
anche un Giulio Romano che in modo completamente diverso e in epoca completamente
diversa ha lavorato con la stessa teoria, se si pensa a Palazzo Te, si è all'apoteosi di
quello che dopo gli anni '90 identifichiamo come installazione.
Per me lavorare sull'odore è tornare all'oggetto primario della scultura. Cerco di
trasformarlo in qualcosa di gigantesco, invadente, invisibile e assimilabile attraverso
l'olfatto, un senso che di solito quando andiamo a vedere una mostra non usiamo.
L'opera diventa un oggetto performativo che entra all'interno del corpo e partecipa alla
vita di un altro corpo.
MM:
Per quanto riguardo l'uso dell'odore nelle tue opere, ti sei ispirato a qualche autore
passato in particolare?
LV:
Mentre ragionavo per capire cosa fare con l'odore, i lavori di Robert Barry o l'Air de Paris
di Marcel Duchamp sono delle opere che ho trovato interessanti quando le ho scoperte.
MM:
L'uso dell'olfatto ha in qualche modo a che fare con un punto di vista politico sull'
opera d'arte e sul modo in cui si interlaccia all'istituzione in cui è o anche solo per
le difficoltà che pone nell'essere collezionato?
LV:
Io credo che il lavoro sia politico secondo ogni aspetto. Creare opere d'arte è un gesto
politico di per sé. Poi si può esprimere in vari modi. Non dimentico una frase di Chomsky
dove lui dice che siamo animali sociali e invitabilmente siamo politici. Sia che siamo
rivoluzionari, riformatori, o sia che seguiamo lo status quo o che apparentemente ce ne
disinteressiamo, in qualche maniera siamo oggetti politici.
Un lavoro di Muntadas è politico come un lavoro di Francesco Clemente e noi come
spettatori facciamo le nostre scelte sul quale ci interessa di più seguire.
Nel mio caso, fare un'operazione di questo tipo con una scultura del genere pensa
piuttosto a risolvere l'atto scultoreo. Basti pensare ad una storia del ' 900 che attraverso i
movimenti dada, fluxus e a quel certo tipo di esperienze che che mettono in discussione
lo statuto dell'oggetto.
Dall'altra parte c'è il tema che la scultura prende, in questo caso si stratta di eternit,
materiale edile economico e democratico. Era disponibile facilmente a tutti, infatti ha
ricoperto gran parte del suolo europeo. Allo stesso tempo però è un gesto arbitratrario
capitalista di sfruttamento attraverso l'utilizzo di materiali nocivi, non intenteressandosi
del benessere pubblico ma solo del guadagno personale o del fabbisogno familiare di un
entourage di persone che approfittano di questo materiale. Cerchiamo di dimenticare
perchè pensiamo di non essere più all'interno di una mentalità che invece resta sempre
presente.
MM:
Non metti in discussione solo i media con cui lavori ma usi questa discussione per
dare sempre rilevanza, voce, importanza a qualcosa che di solito passa inosservato,
per inattenzione o comodità. Penso al tuo uso della polvere o anche al tuo recente
Romanistan.
LV:
Tendenzialmente si preferisce sempre star tranquilli e non pensare molto. Credo che
questa scelta di vita e di ricerca non appartenga senz’altro il ruolo dell'artista. Sopratutto
quando si vuole parlare della realtà, si è spesso scomodi. Courbet era scomodo a suo
tempo, ora non ce ne rendiamo più conto, ma lo era, eccome.
Quello che ci circonda, il visibile è creato da tutto un mondo invisibile che ne prepara i
ruoli e gli atteggiamenti. Come diceva Chomsky a seconda dei nostri atteggiamenti
intepretiamo l'esistente. Darsi delle risposte è molto complesso, c'è sempre qualcosa
che le mette in discussione. Si tratta infine di un'indagine dell'invisibile, proprio perchè
cercare l'invisibile è la fonte stessa del porsi domande, del cercare di comprendere il
mondo in cui abitiamo, cercando di sfuggire ad una perdita ontologica.
MM:
A proposito di orientamento, tu hai lavorato spesso con sistemi di mappature, che
siano cartografiche, come nel caso dei tuoi primi lavori, o come quelle che hai
creato con il cibo, con i suoni o gli odori. Ti sei mai perso all'interno della tua
ricerca? O in qualche modo, come ti orienti tra le tue idee, pensieri e desideri?
LV:
La perdita è qualcosa che è stato anche tema di titoli di mie opere degli inizi. Il perdersi
durante una ricerca non saprei. Il perdersi Debordiano l'ho sperimentato soprattutto da
ragazzo quando capitava l'occasione giusta, e ovviamente è stato formativo. Con gli anni
una pratica la si assume, quindi diventa un modus operandi, ma non si sa mai come sarà
l'oggetto che si vedrà in mostra finchè non è finito, perchè il pensiero è una cosa e
l'oggetto reale è un'altra.
Il perdersi nella società e non avere dei riferimenti forse è una condizione più giovanile.
Penso alle prime opere che creai da giovane, come il testo Per una perdita ontologica e
le Carte Atopiche. Erano luoghi della perdita, luoghi senza punti di riferimento che
riflettevano anche un momento in cui era difficile pensare a dei riferimenti, alla fine degli
anni '80 e all'inizio degli anni '90. Era un momento in cui era difficile affrontare un
discorso politico, il sistema dell'arte era entrato, ormai da un decennio, in un ritorno
all'ordine formale, in cui ogni altro discorso che non fosse la pennellata o il modellato era
difficile per un giovane da portare avanti, soprattutto in Italia.
MM:
E tu hai un modus operandi che persiste oppure ogni volta proponi un processo
diverso? Da cosa parti per strutturare un'opera?
LV:
Da una parte c'è una pratica che si è sviluppata, quindi arrivano delle idee e si cerca di
fermarle o nella memoria o su un taccuino, alcune poi vengono sviluppate. A volte si
aspetta l'occasione di una mostra, oppure si creano e poi magari rimangono lì, a volte
perchè non si è del tutto convinti, o perchè non si è arrivati al momento giusto per
presentarle. Altre volte ci sono situazioni dove si pensa di fare un lavoro e poi si cambia
idea e si viene fuori con qualcosa di diverso e addirittura migliore.
Per l'eternità è un po' un caso di questo tipo. Avevo iniziato a lavorare pensando di
portare dell'Eternit in Biennale, ma era troppo diffcile per motivi logistici. La mia idea era
di fare un pavimento di Eternit ma col senno di poi sarebbe stato troppo scultoreo e
nonostante il rischio di portare in Biennale una scultura olfattiva, alla fine ne è valsa la
pena, dato che poi ha anche trovato un acquirente.
MM:
Di Per l'eternità quello che è stato venduto che cos'era? Una quantità di odore?
LV:
Sono stati venduti i getti diffusori, una quantità di odore avanzata dall'esposizione alla
Biennale di Venezia, più la ricetta per la produzione dell'odore.
MM:
Chiedo sia a Luca che a Massimo, dove sono tutte quelle opere immateriali, di cui molte risalenti all’ultra-concettuale dei primi anni’70? Esistono delle collezioni adibite alle opere effimere e smaterializzate, anche di opere contemporanee?
MM:
Nacca
è (New approach in the conservation of contemporary art) stato un progetto che è durato sei anni ed è sulla catalogazione,
conservazione e archivazione e la salvaguardia di quel tipo di lavoro
che va dagli odori, alla file art al lavoro orale. Come ad esempio un’opera di Tino Sehgal che è raccontata ad un orecchio.
C'è questa
rete internazionale di musei che va dalla Tate di Londra al Maxxi di
Roma e dieci università e due accademie di belle arti, tra cui quella di Brera, che hanno
lavorato proprio sulla conservazione di opere non materiali come ad
esempio di odori. Hanno istituito in quei musei dei
filoni che trattano questo. Son nati dei dipartimenti, delle
collezioni, che si occupano soltanto di queste opere invisibili e
diversamente materiali.
MM:
E tu Massimo, ti è mai capitato di trovarti a lavorare da scultore con la materia olfattiva?
MM:
Con gli odori in sè no. Ma una volta ho creato ventiquattro portaprofumi in vetro soffiato per la Casa Reale Saudita. Eccone tre modelli che ho conservato, sono enormi perchè così potevano vederli e sceglierli meglio.
MM:
Per la creazione di Per l'eternità alla Biennale di Venezia 2013, hai portato l'odore
dell'amianto e per Imperium hai portato l'odore del potere, come siete arrivati tu e
Maria Candida Gentile a trovare le combinazioni di questi odori inventati?
LV:
Io raccontavo a Maria Candida le mie idee e lei mi presentava delle ipotesi dalle quali poi
arrivavamo all'oggetto finito. Riguardo gli altri odori prodotti precedentemente, quello del
mare diffuso a Palazzo delle Esposizioni e quello del bosco, si tratta di odori diversi
perchè già esistenti. Quelli dell'Eternit e di Imperium hanno un'odore solo metaforico. In
quel caso c'è stato un continuo confronto con Maria Candida, è venuta con me a fare i
sopralluoghi a Casale Monferrato, incontrando le persone e cercando di conoscere in
profondità la storia dell'eternit. Con lei è stata una vera e propria collaborazione in quei
casi.
Per certi aspetti questo è qualcosa che è molto presente nel mio lavoro.
Ad esempio, nelle opere non si dice mai chi ha fatto le cornici, eppure nel mio caso il
corniciao è una figura fondamentale per la riuscita dell'opera. Ogni corniciaio ha una sua
sensibilità. Con Maria Candida questo rapporto è ancora piu evidente e specifico.
Pensavo ad una bellissima sintesi di Massimo (Mazzone) su come si configura la scultura,
ovvero modellata, costruita, scolpita, o sociale. Allo stesso modo esistono delle categorie
dell'arte, ritratto, paesaggio e natura morta, nelle quali noi artisti dobbiamo orientarci per
confrontare la nostra pratica quotidiana. L'odore stesso può infine considerarsi una
scultura modellata. L'opera che Maria Candida modella sono materiali che assumono poi
una forma invisibile. Io credo di lavorare sempre sul paesaggio, sono uno scultore del
paesaggio. Forse a mio modo ho sempre cercato di lavorare su diverse modalità
parallele, tra la scultura sociale e quella modellata, l'unica che non ho mai intrapreso
forse è proprio quella scolpita. Anche la manualità delle pennellate sui miei acquerelli di
polveri sono spesso ridotte al minimo attraverso l'applicazione finale del rullo sulla tela.
MM:
Come definiresti le tue polveri?
LV:
Le polveri sono dei quadri animati da una riflessione sull'oggetto pittorico stesso. Sono
lavorati con un antipigmento, con qualcosa che di solito lede la pittura e che nel mio
caso diventa protagonista. Oltre l'antipigmento, è presente una riflessione sul
monocromo. Si tratta di un richiamo al momento apolegetico della pittura negli anni '60,
durante i quali sono stati praticati vari tentativi di scardinamento, basti pensare a
Manzoni e la sua idea di acromo. Manzoni è un altro degli immancabili riferimenti per la
mia crescita, insieme a Bouys, Anselmo, Prini. Mi sarebbe piaciuto conoscerli, vedere
come lavoravano.
MM:
Hai nuovi odori e progetti in cantiere?
LV:
Con Maria Candida Gentile abbiamo in mente un terzo odore ma stiamo apettando il
luogo giusto per esporlo.
Una prossima mostra programmata invece è una mia personale al MAXXI di Roma. Sarà
un progetto inedito che è all'interno di una serie di mostre che si intitola FOCUS,
all'interno del quale son stati esibiti Nico Vascellari, Enzo Cucchi, etc.
Sarà una riflessione sull'idea del potere, dopo Imperium fatta a Berlino, mi sarebbe
piaciuto lavorare sull'inizio del sistema imperiale e sul concetto occidentale di potere
imperiale, di cui quello romano è un chiaro esempio. Villa Adriana è stata costruita da
Adriano per poter allontanarsi dal potere centrale romano e per esigenze della politica
urbana, che ha sempre influito nel bene e nel male sul ruolo del capo di stato. Quello è
stato il primo segnale di un allontamento del potere imperiale da quello capitale.
Saranno esposte nove tele di ambienti atmosferici, dove il mio intervento
sarà quello di
disporre delle tele nel paesaggio così che durante il periodo di esposizione esse
diventino degli autoritratti dove Villa Adriana si esprime. Ci sarà anche una pittura murale
con delle polveri dell'osservatorio astronomico di Adriano.
MM:
Se dovessi pensare a tre odori che sai non dimenticherai mai, quali sarebbero?
Per me l'odore del mare di Genova è uno di quegli odori che fa parte della mia vita come
un punto di riferimento mnemonico.
Un altro è comune un po' a tutti ed è l'asfalto bagnato da un acquazzone estivo, un
ritorno al gioco, all'aperto.
Un altro invece più intimo, sgradevole ma molto affettuoso, è quello della saliva di mia
nonna paterna. Quando trascorrevo i pomeriggi con lei, dopo la merenda pensava bene
di pulirmi la bocca avvolgendo il suo fazzoletto intorno al dito indice della mano destra,
bagnarlo con la propria saliva e pulirmi la bocca. Un gesto arcaico, prima dell'invenzione
della fontanella, lei era di origine contadina, quindi nel 1904 è cresciuta in quel mondo. A
me faceva abbastanza schifo ma l'ho sempre subito, perlomeno fino all'adolescenza.
Ogni tanto succede che senta ancora quell'odore e che non riesca a capire cosa abbia
potuto scaturirlo e perchè. L'odore della saliva della nonna. Oggi è un ricordo molto
affettuoso. Lei era una signora semi analfabeta. Ha perso i genitori con la spagnola poi è
diventata una melomane, ha girato l'Italia con i suoi amici della lirica, diventando a suo
modo una signora di mondo, se pur sempre con il dito avvolto nel fazzoletto.