vista a

Vitone

cipazione di
Mazzone

2021


Massimo Mazzone,
1967, artista, scultore e docente di teniche della scultura a Brera, svolge attività di ricerca sulle relazioni tra corpo, scultura e architettura,
in particolare sulla “Scultura Costruita”.
Ha partecipato con diversi progetti sia plastici che performativi alle Biennali di Venezia Architettura 2000, 2002, 2006, 2008.




Der unbestimmte Ort, cibo e musica dal vivo, 
happening con comunità Sinti e Rom
Galleria Christian Nagel,
1994

“(...)ho iniziato a capire di voler raccontare l'immagine di un'opera attraverso materiali che non avessero una forma fisica riconoscibile visivamente.”

Hole, MOMA, New York, 2000

Per la Biennale di Venezia nel 2013 ha portato al padiglione Italia per l’Eternità, scultura olfattiva che crea l’odore di un materiale inodore: l’amianto. Il padiglione Italia 2013, Vice-Versa, era curato da Bartolomeo Pietromarchi, il quale ha suddiviso lo spazio del padiglione in modo tale da far conversare nei relativi spazi coppie di singoli artisti, nel caso di Vitone si trattava di Luigi Ghirri e delle sue fotografie dell’Italia del ‘900. 

Interessante è la scelta di Vitone di non dialogare con Ghirri visivamente, lasciandogli tutto lo spazio visivo nel luogo adibito, scegliendo invece di occupare tutto lo spazio non visivo, non solo dello spazio dedicatogli, ma di buona parte del padiglione, attraverso appunto quest’odore di Eternit (nome commerciale dell’amianto).


 
Luigi Ghirri, Luca Vitone, Vice-Versa, Italian Pavillion,
55 Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia

 “Lavorando con oggetti che occupano degli spazi ho cercato di   farlo coinvolgendo tutti i sensi”
 

Luca Vitone, Maria Candida Gentile, Per l’eternità,
flacone di profumo, (fragranza creata in collaborazione con la  profumeria Maria Candida Gentile,
ingredienti: rabarbaro belga, rabarbaro francese, rabarbaro svizzero)

 “L'idea era quella di una scultura invisibile ma   enorme che non potesse essere contenuta da reali   confini.”

Luca Vitone, Per l’eternità, 2012, Il Venerdì, La Repubblica

 “L'opera diventa un oggetto performativo che   entra all'interno del corpo e partecipa alla vita di   un altro corpo.”

Io, Luca Vitone, PAC, Milano,2018

Marcel Duchamp, 30 cc of Paris air

Io, Luca Vitone, PAC, 2017

Bandiera con citazione di Piero Manzoni a Io, Luca Vitone, PAC, Milano, 2017

 “Si tratta infine di un'indagine dell'invisibile,   proprio perchè cercare l'invisibile è la fonte   stessa  del porsi domande.”

Io Luca Vitone, PAC, Milano, 2017

L’invisibile informa il visibile, 1988,
Carta geografica plastificata, tiranti in nylon, 47,8×55 cm
Fondazione Brodbeck

L’invisibile informa il visibile,
1988, Fondazione Brodbeck


Luca Vitone, Imperium,
2014, flacone di profumo
(fragranza creata in collaborazione con la profumeria Maria Candida Gentile,
ingredienti: storace benzoino, cedro, costus, hyraceum, acqua, alcool

 “L'odore stesso può infine considerarsi una   scultura modellata. L'opera che Maria Candida   modella sono materiali che assumono poi una   forma invisibile.”

Luca Vitone, Imperium, Neuer Berliner Kunstverein

Luca Vitone, Chambres
(Corte di giustizia dell’Unione Europea, Lussemburgo), 2018,
Acquerelli di polvere su carta, con cornice in legno di ciliegio 249 x 169 cm

Luca Vitone, Io, Roma (Piazza Monte di Pietà), 2005,
agenti atmosferici su tela; 258 x 235 x 5 cm,
Galerie Nagel Draxler, Berlin

“Ogni tanto succede che senta ancora quell'odore   e che non riesca a capire cosa abbia potuto   scaturirlo e perchè.
 L'odore della saliva della nonna.



MM:
Durante la tua carriera hai lavorato con molti media diversi, senza mai perdere però un'orientamento nella tua poetica. Hai realizzato dei momenti di condivisione di cibo, sculture olfattive, opere visive e uso della musica nelle tue installazioni. C'è un senso con il quale senti una maggiore affinità?


LV:
L'aspetto visivo per me è stato il più frequente ed inevitabilmente mi ha accompagnato per tutto il periodo in cui ho lavorato ma anche in quello di formazione. Certe soluzioni formali sono arrivate dopo anni di lavoro, quando ho iniziato a capire di voler raccontare l'immagine di un'opera attraverso materiali che non avessero una forma fisica riconoscibile visivamente. Ho seguito un percorso cercando di essere coerente su due aspetti, uno riguardo i temi che mi interessa sviluppare, approfondire e ricercare, parallelamente al lavoro sul linguaggio artistico. Io mi ritengo uno scultore quindi lavoro sul senso della scultura e di come può evolvere nel nostro contemporaneo. Lavorando con oggetti che occupano degli spazi ho cercato di farlo coinvolgendo tutti i sensi, seguendo anche riferimenti ad artisti del passato che hanno lavorato per arrivare a ragionare sull'opera totale, quella che coinvolge realmente tutto lo spazio vissuto da noi in quel momento.


MM:
Hai lavorato con l'odore in diverse occasioni, diversi modi e con diverse intenzioni.

LV:
L'uso dell'odore poteva avere un antecedente già nel '92, quando ho cominciato ad usare il cibo nei miei lavori. Nella sala in cui si entrava si potevano degustare i cibi messi a disposizione del pubblico e chiaramente veniva a crearsi un odore. Credo di aver creato due tipologie di odori fino ad ora. Uno può essere ad esempio quello realizzato per Stundaiù, mostra al Palazzo delle Esposizioni, dedicata alla mia città, Genova. Cercando di elaborare delle opere che potessero coinvolgere tutti i sensi, ho pensato anche ad un odore, più precisamente ad un odore di mare. Avendo lasciato Genova a vent' anni, ogni volta che tornavo a Principe, riconoscevo un odore di mare sporco, oleoso, e quel'odore era diventato un momento preciso per me. Non vivo malinconie nei confronti della città dove sono cresciuto, ma ci sono alcune cose che sono per me quelle che preferisco, come un certo tipo di cibo, di clima, di persone. L'odore del mare per Stundaiù era uno di quegli oggetti come il trallallero o come il corso di cucina ligure: progetti in cui tutti i sensi venivano coinvolti. Quando una decina di anni dopo, alla Biennale di Venezia ho deciso di portare Per l'eternità, ho invece ragionato sull'idea del linguaggio stesso: l'odore diventa scultura se pur nella sua invisibilità. L'idea era quella di una scultura invisibile ma enorme che non potesse essere contenuta da reali confini. L'odore di Per l'Eternità a Venezia si dipanava fuori controllo, sia nelle stanze vicine a quella dove era esposto, sia disperdendosi con il vento verso l'entrata, accompagnandoti verso il padiglione Italia.


MM:
Hai definito Per l'Eternità un'opera che richiama un Minimalismo Aureo, che cosa intendi?


LV:
Ho pensato al minimalismo come concetto e teoria linguistica degli anni '60. C'è un momento in particolare, dove un gruppo di artisti neworkesi e poi anche britannici, seguivano una modalità di lavoro sulla scultura e sull'oggetto artistico che poi ha avuto degli sviluppi. Basti pensare ad un personaggio come Santiago Sierra, dove la scultura, da oggetto, diventa segno invadente e invasivo di uno spazio. Quando ho lavorato alla mostra del palazzo delle esposizioni, ho attuato il mio primo tentativo di scultura totale. Sicuramente la scultura sociale di Beuys per me è sempre stata un'esperienza estremamente importante, quando ero studente, negli anni '80, tolte alcune figure italiane, Beuys è stato uno degli artisti internazionali che più mi affascinava, con la l'idea di uscire dall'oggetto per raggiungere l'ambiente. In quegli anni ho scoperto anche un Giulio Romano che in modo completamente diverso e in epoca completamente diversa ha lavorato con la stessa teoria, se si pensa a Palazzo Te, si è all'apoteosi di quello che dopo gli anni '90 identifichiamo come installazione. Per me lavorare sull'odore è tornare all'oggetto primario della scultura. Cerco di trasformarlo in qualcosa di gigantesco, invadente, invisibile e assimilabile attraverso l'olfatto, un senso che di solito quando andiamo a vedere una mostra non usiamo. L'opera diventa un oggetto performativo che entra all'interno del corpo e partecipa alla vita di un altro corpo.


MM:
Per quanto riguardo l'uso dell'odore nelle tue opere, ti sei ispirato a qualche autore passato in particolare?


LV:
Mentre ragionavo per capire cosa fare con l'odore, i lavori di Robert Barry o l'Air de Paris di Marcel Duchamp sono delle opere che ho trovato interessanti quando le ho scoperte.


MM:
L'uso dell'olfatto ha in qualche modo a che fare con un punto di vista politico sull' opera d'arte e sul modo in cui si interlaccia all'istituzione in cui è o anche solo per le difficoltà che pone nell'essere collezionato?


LV:
Io credo che il lavoro sia politico secondo ogni aspetto. Creare opere d'arte è un gesto politico di per sé. Poi si può esprimere in vari modi. Non dimentico una frase di Chomsky dove lui dice che siamo animali sociali e invitabilmente siamo politici. Sia che siamo rivoluzionari, riformatori, o sia che seguiamo lo status quo o che apparentemente ce ne disinteressiamo, in qualche maniera siamo oggetti politici. Un lavoro di Muntadas è politico come un lavoro di Francesco Clemente e noi come spettatori facciamo le nostre scelte sul quale ci interessa di più seguire. Nel mio caso, fare un'operazione di questo tipo con una scultura del genere pensa piuttosto a risolvere l'atto scultoreo. Basti pensare ad una storia del ' 900 che attraverso i movimenti dada, fluxus e a quel certo tipo di esperienze che che mettono in discussione lo statuto dell'oggetto.
Dall'altra parte c'è il tema che la scultura prende, in questo caso si stratta di eternit, materiale edile economico e democratico. Era disponibile facilmente a tutti, infatti ha ricoperto gran parte del suolo europeo. Allo stesso tempo però è un gesto arbitratrario capitalista di sfruttamento attraverso l'utilizzo di materiali nocivi, non intenteressandosi del benessere pubblico ma solo del guadagno personale o del fabbisogno familiare di un entourage di persone che approfittano di questo materiale. Cerchiamo di dimenticare perchè pensiamo di non essere più all'interno di una mentalità che invece resta sempre presente.


MM:
Non metti in discussione solo i media con cui lavori ma usi questa discussione per dare sempre rilevanza, voce, importanza a qualcosa che di solito passa inosservato, per inattenzione o comodità. Penso al tuo uso della polvere o anche al tuo recente Romanistan.


LV:
Tendenzialmente si preferisce sempre star tranquilli e non pensare molto. Credo che questa scelta di vita e di ricerca non appartenga senz’altro il ruolo dell'artista. Sopratutto quando si vuole parlare della realtà, si è spesso scomodi. Courbet era scomodo a suo tempo, ora non ce ne rendiamo più conto, ma lo era, eccome. Quello che ci circonda, il visibile è creato da tutto un mondo invisibile che ne prepara i ruoli e gli atteggiamenti. Come diceva Chomsky a seconda dei nostri atteggiamenti intepretiamo l'esistente. Darsi delle risposte è molto complesso, c'è sempre qualcosa che le mette in discussione. Si tratta infine di un'indagine dell'invisibile, proprio perchè cercare l'invisibile è la fonte stessa del porsi domande, del cercare di comprendere il mondo in cui abitiamo, cercando di sfuggire ad una perdita ontologica.


MM:
A proposito di orientamento, tu hai lavorato spesso con sistemi di mappature, che siano cartografiche, come nel caso dei tuoi primi lavori, o come quelle che hai creato con il cibo, con i suoni o gli odori. Ti sei mai perso all'interno della tua ricerca? O in qualche modo, come ti orienti tra le tue idee, pensieri e desideri?


LV:
La perdita è qualcosa che è stato anche tema di titoli di mie opere degli inizi. Il perdersi durante una ricerca non saprei. Il perdersi Debordiano l'ho sperimentato soprattutto da ragazzo quando capitava l'occasione giusta, e ovviamente è stato formativo. Con gli anni una pratica la si assume, quindi diventa un modus operandi, ma non si sa mai come sarà l'oggetto che si vedrà in mostra finchè non è finito, perchè il pensiero è una cosa e l'oggetto reale è un'altra. Il perdersi nella società e non avere dei riferimenti forse è una condizione più giovanile. Penso alle prime opere che creai da giovane, come il testo Per una perdita ontologica e le Carte Atopiche. Erano luoghi della perdita, luoghi senza punti di riferimento che riflettevano anche un momento in cui era difficile pensare a dei riferimenti, alla fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90. Era un momento in cui era difficile affrontare un discorso politico, il sistema dell'arte era entrato, ormai da un decennio, in un ritorno all'ordine formale, in cui ogni altro discorso che non fosse la pennellata o il modellato era difficile per un giovane da portare avanti, soprattutto in Italia.


MM:
E tu hai un modus operandi che persiste oppure ogni volta proponi un processo diverso? Da cosa parti per strutturare un'opera?


LV:
Da una parte c'è una pratica che si è sviluppata, quindi arrivano delle idee e si cerca di fermarle o nella memoria o su un taccuino, alcune poi vengono sviluppate. A volte si aspetta l'occasione di una mostra, oppure si creano e poi magari rimangono lì, a volte perchè non si è del tutto convinti, o perchè non si è arrivati al momento giusto per presentarle. Altre volte ci sono situazioni dove si pensa di fare un lavoro e poi si cambia idea e si viene fuori con qualcosa di diverso e addirittura migliore. Per l'eternità è un po' un caso di questo tipo. Avevo iniziato a lavorare pensando di portare dell'Eternit in Biennale, ma era troppo diffcile per motivi logistici. La mia idea era di fare un pavimento di Eternit ma col senno di poi sarebbe stato troppo scultoreo e nonostante il rischio di portare in Biennale una scultura olfattiva, alla fine ne è valsa la pena, dato che poi ha anche trovato un acquirente.


MM:
Di Per l'eternità quello che è stato venduto che cos'era? Una quantità di odore?


LV:
Sono stati venduti i getti diffusori, una quantità di odore avanzata dall'esposizione alla Biennale di Venezia, più la ricetta per la produzione dell'odore.


MM:
Chiedo sia a Luca che a Massimo, dove sono tutte quelle opere immateriali, di cui molte risalenti all’ultra-concettuale dei primi anni’70? Esistono delle collezioni adibite alle opere effimere e smaterializzate, anche di opere contemporanee?

MM:
Nacca è (New approach in the conservation of contemporary art) stato un progetto che è durato sei anni ed è sulla catalogazione, conservazione e archivazione e la salvaguardia di quel tipo di lavoro che va dagli odori, alla file art al lavoro orale. Come ad esempio un’opera di Tino Sehgal che è  raccontata ad un orecchio.

C'è questa rete internazionale di musei che va dalla Tate di Londra al Maxxi di Roma e dieci università e due accademie di belle arti, tra cui quella di Brera, che hanno lavorato proprio sulla conservazione di opere non materiali come ad esempio di odori. Hanno istituito in quei musei dei filoni che trattano questo. Son nati dei dipartimenti, delle collezioni, che si occupano soltanto di queste opere invisibili e diversamente materiali.

MM:
E tu Massimo, ti è mai capitato di trovarti a lavorare da scultore con la materia olfattiva?

MM:
Con gli odori in sè no. Ma una volta ho creato ventiquattro portaprofumi in vetro soffiato per la Casa Reale Saudita. Eccone tre modelli che ho conservato, sono enormi perchè così potevano vederli e sceglierli meglio.

MM:
Per la creazione di Per l'eternità alla Biennale di Venezia 2013, hai portato l'odore dell'amianto e per Imperium hai portato l'odore del potere, come siete arrivati tu e Maria Candida Gentile a trovare le combinazioni di questi odori inventati?

LV:
Io raccontavo a Maria Candida le mie idee e lei mi presentava delle ipotesi dalle quali poi arrivavamo all'oggetto finito. Riguardo gli altri odori prodotti precedentemente, quello del mare diffuso a Palazzo delle Esposizioni e quello del bosco, si tratta di odori diversi perchè già esistenti. Quelli dell'Eternit e di Imperium hanno un'odore solo metaforico. In quel caso c'è stato un continuo confronto con Maria Candida, è venuta con me a fare i sopralluoghi a Casale Monferrato, incontrando le persone e cercando di conoscere in profondità la storia dell'eternit. Con lei è stata una vera e propria collaborazione in quei casi. Per certi aspetti questo è qualcosa che è molto presente nel mio lavoro. Ad esempio, nelle opere non si dice mai chi ha fatto le cornici, eppure nel mio caso il corniciao è una figura fondamentale per la riuscita dell'opera. Ogni corniciaio ha una sua sensibilità. Con Maria Candida questo rapporto è ancora piu evidente e specifico. Pensavo ad una bellissima sintesi di Massimo (Mazzone) su come si configura la scultura, ovvero modellata, costruita, scolpita, o sociale. Allo stesso modo esistono delle categorie dell'arte, ritratto, paesaggio e natura morta, nelle quali noi artisti dobbiamo orientarci per confrontare la nostra pratica quotidiana. L'odore stesso può infine considerarsi una scultura modellata. L'opera che Maria Candida modella sono materiali che assumono poi una forma invisibile. Io credo di lavorare sempre sul paesaggio, sono uno scultore del paesaggio. Forse a mio modo ho sempre cercato di lavorare su diverse modalità parallele, tra la scultura sociale e quella modellata, l'unica che non ho mai intrapreso forse è proprio quella scolpita. Anche la manualità delle pennellate sui miei acquerelli di polveri sono spesso ridotte al minimo attraverso l'applicazione finale del rullo sulla tela.


MM:
Come definiresti le tue polveri?


LV:
Le polveri sono dei quadri animati da una riflessione sull'oggetto pittorico stesso. Sono lavorati con un antipigmento, con qualcosa che di solito lede la pittura e che nel mio caso diventa protagonista. Oltre l'antipigmento, è presente una riflessione sul monocromo. Si tratta di un richiamo al momento apolegetico della pittura negli anni '60, durante i quali sono stati praticati vari tentativi di scardinamento, basti pensare a Manzoni e la sua idea di acromo. Manzoni è un altro degli immancabili riferimenti per la mia crescita, insieme a Bouys, Anselmo, Prini. Mi sarebbe piaciuto conoscerli, vedere come lavoravano.


MM:
Hai nuovi odori e progetti in cantiere?


LV:
Con Maria Candida Gentile abbiamo in mente un terzo odore ma stiamo apettando il luogo giusto per esporlo. Una prossima mostra programmata invece è una mia personale al MAXXI di Roma. Sarà un progetto inedito che è all'interno di una serie di mostre che si intitola FOCUS, all'interno del quale son stati esibiti Nico Vascellari, Enzo Cucchi, etc. Sarà una riflessione sull'idea del potere, dopo Imperium fatta a Berlino, mi sarebbe piaciuto lavorare sull'inizio del sistema imperiale e sul concetto occidentale di potere imperiale, di cui quello romano è un chiaro esempio. Villa Adriana è stata costruita da Adriano per poter allontanarsi dal potere centrale romano e per esigenze della politica urbana, che ha sempre influito nel bene e nel male sul ruolo del capo di stato. Quello è stato il primo segnale di un allontamento del potere imperiale da quello capitale. Saranno esposte nove tele di ambienti atmosferici, dove il mio intervento
sarà quello di disporre delle tele nel paesaggio così che durante il periodo di esposizione esse diventino degli autoritratti dove Villa Adriana si esprime. Ci sarà anche una pittura murale con delle polveri dell'osservatorio astronomico di Adriano.


MM:
Se dovessi pensare a tre odori che sai non dimenticherai mai, quali sarebbero?



Per me l'odore del mare di Genova è uno di quegli odori che fa parte della mia vita come un punto di riferimento mnemonico. Un altro è comune un po' a tutti ed è l'asfalto bagnato da un acquazzone estivo, un ritorno al gioco, all'aperto. Un altro invece più intimo, sgradevole ma molto affettuoso, è quello della saliva di mia nonna paterna. Quando trascorrevo i pomeriggi con lei, dopo la merenda pensava bene di pulirmi la bocca avvolgendo il suo fazzoletto intorno al dito indice della mano destra, bagnarlo con la propria saliva e pulirmi la bocca. Un gesto arcaico, prima dell'invenzione della fontanella, lei era di origine contadina, quindi nel 1904 è cresciuta in quel mondo. A me faceva abbastanza schifo ma l'ho sempre subito, perlomeno fino all'adolescenza. Ogni tanto succede che senta ancora quell'odore e che non riesca a capire cosa abbia potuto scaturirlo e perchè. L'odore della saliva della nonna. Oggi è un ricordo molto affettuoso. Lei era una signora semi analfabeta. Ha perso i genitori con la spagnola poi è diventata una melomane, ha girato l'Italia con i suoi amici della lirica, diventando a suo modo una signora di mondo, se pur sempre con il dito avvolto nel fazzoletto.